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Il Romanzo

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    Cap 1°        Porta di Mare

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    Cap 2°        Notturno

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    Cap 3°        Maddalena

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    Cap 4°        La Pietraia

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    Cap 5°        Il Vicolo

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    Cap 6°        La Vigilia dell'Assunta

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    Cap 7          Tempesta di mare

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    Cap 8°        Calura  

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    Cap 9°        Mattia

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    Cap 10°      Quiete

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    Cap 11°      Sciame meteorico

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    Cap 12°      Il mirteto

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    Cap 13°      Cassiopea

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    Cap 14°      Maestrale

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    Cap 15°      Il castagneto

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    Cap 16°      Vaniglia

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    Cap 17°      Bava di vento

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    Cap  18°      Solitudine

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    Cap 19°     Allegro ma non troppo

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    Cap 20°     Andante moderato

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    Cap 21°     Andante maestoso

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    Cap 22°     Adagio

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    Cap 23°     Autunno

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    Cap 24°     Tempo

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    Cap 25°     Prestissimo

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    Cap 26°     Allegro energico

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    Cap 27°    Allegro con moto

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    Cap 28°     Largo

 

 

cap I

Porta di Mare

 

                            

Anticamente, verso la fine del quindicesimo secolo, Porta di Mare era il luogo destinato alle esecuzioni della pena capitale, che avveniva per decapitazione. L’evento, macabro, era pur sempre uno spettacolo. Scuoteva le menti per giorni, mesi. Quando si avvicinava la tragica ora, sbucava sempre da qualche vicolo un ragazzo sadico che urlava:

 

“A Porta di Mare, a Porta di Mare!”

 

In realtà era stato questo il grido di allarme lanciato dalle sentinelle che avvertivano l’imminente arrivo degli invasori, e rimase poi retaggio linguistico abituale.

Porta di Mare, imponente nella sua grande arcata e la sua porta, era risalente al tempo delle invasioni turche, appositamente edificata dal signorotto a difesa delle sue terre.

Era, in seguito rimasta sempre aperta, specie nel tempo in cui si diffuse l’arte del ricamo e della tessitura. Su per la larga ed erta salita era un via vai di muli. Non di rado si assisteva alla pietosa scena di qualche bestia che rotolava rovinosamente sotto il peso eccessivo delle mercanzie.

Approdavano, giù alla marina, vascelli con preziosi carichi si seta grezza, che ,prima, le abili mani dei tessitori trasformavano in seta pregiata con particolari lavaggi e, poi, quelle delle ricamatrici rendevano straordinarie per finezza e preziosità del ricamo e delle applicazioni in pizzo.

 

E l’arte del ricamo divenne fonte di sostentamento, come pure l’allevamento dei muli e tutte le attività collaterali.

A poco a poco si finì con l’esportare anche prelibate conserve, ceramiche e terrecotte, che nulla avevano a che fare con il primo traffico di mercanzie.

Un giorno Pietro, il più stravagante dei figli del barone, alludendo al fatto che si stivava di tutto sui loro vascelli , per scherzo disse:

“Visto che vi trovate caricate anche questi pezzi! Non si sa mai, in caso di attacco in mare, potreste spaccare la testa a qualcuno!”

Non aveva tutti i torti Pietro. Sapeva Che gli uomini della loro flottiglia non erano molto abili nell’uso delle armi e, a dire il vero, c’era qualche attacco di brigantaggio in terra, più che di pirati in mare. E così salirono a bordo una giara e dei piatti.

In meno di un anno, anche quella della ceramica divenne una fiorente attività per i baroni, sempre più ricchi e potenti.

Ma le esecuzioni capitali, anche se rarissime, rendevano Porta di Mare luogo temuto, specie nelle ore notturne. Non erano infrequenti le vendette trasversali dei familiari dei giustiziati, che si erano sentite tradite dal resto della popolazione che, a onor del vero, non navigava in buone acque. I baroni erano gioviali e di buon carattere, ma non nutrivano grandi idee di benessere sociale, e dare ai popolani lavoro e una ricompensa, a mala pena sufficienti, era già tanto. Altri nobili vicini avevano loro consigliato di essere addirittura meno prodighi, pena la caduta del baronato. Ma questo non avvenne, perché le generazioni successive, nell’esportare i loro manufatti, presero l’abitudine di curare in modo personale gli affari. Alcuni rampolli frequentarono le università più famose. E tanti di loro si distinsero nella Matematica, nell’Economia e nella Giurisprudenza. Il loro baronato divenne illuminato, e, a poco a poco, il paesino assunse una sua dignità di indipendenza. I baroni Mastai furono tra i primi a sostenere l’unità d’Italia. Procedevano, di pari passo, spirito patriottico e grande senso degli affari.

Nella lussureggiante macchia mediterranea delle loro terre allignava il brigantaggio, che era duro a morire. E si continuava anche a  morire di pena capitale, per fucilazione.

Il luogo delle esecuzioni fu spostato da Porta di Mare alle spalle del muro di cinta del cimitero del capoluogo.

Così Porta di Mare perse il suo macabro rituale.

E Porta di Mare, che fiera aveva resistito alle invasioni, scampando l’inerme popolo dai cruenti attacchi dei mori, si chinò al terremoto del 1908. Sotto le violenti scosse, i cardini dei grandi battenti avevano ceduto e nella rovinosa caduta, tra polvere di legno e pietra, c’era stata più di una vittima. In sostanza, se prima aveva difeso, con il suo crollo aveva mietuto morte.

 

E per Porta di Mare passarono gli americani, alla fine del 1945, distribuendo tavolette di cioccolato, sigarette e ritmo di boogie woogie, mentre un ragazzo urlava:

 

“A Porta di Mare, a Porta di Mare!”

 

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