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Attualità

 

 

 

Speciale 8 Marzo e non un 8 Marzo speciale...

perchè tutti i giorni siano speciali, in special modo quelli in cui si compiono piccoli passi nella lenta ascesa dei diritti alle donne.

Donne soffocate negli entusiasmi nelle opulente civiltà occidentali, donne soffocate nella femminilità nei paesi ad alto degrado culturale, donne soffocate dal loro stesso essere donne, vendute, scambiate come merce, usate come prodotti pubblicitari.

8 Marzo, come invito alle donne ad essere meno nemiche...di noi stesse...

 

I...doni alle mie amiche:

 

Un delicato fiore di lavanda per tutte, perchè a me non piacciono le mimose ...Le mimose sfioriscono subito, dopo una sfolgorante  fioritura

...Una Donna non sfiorisce mai!

      

.... è anche il mio logo...

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    Un racconto   "Forbici e coltelli"

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    Le Poesie

Desaparecida
Segreti
Era ieri
Canto della solitudine

La lampada

 

 

 

da "Le Storie di Mizar"...

Forbici e coltelli

 

Rosario, chiamato da tutti Sario, era arrotino. Con la sua bicicletta, attrezzata a officina ambulante, percorreva quasi tutta la città. Arrancava per le ripide salite, cantava a squarciagola nelle discese. Era un modo come un altro per avvisare del suo arrivo, oltre all’usuale :

“Dooonne è arrrrivato l’arrrrrotino!”

Arrotava le erre, come se già volesse avvantaggiarsi il lavoro. Sario era un bell’uomo.

Alto, bruno, occhi scuri, aveva i tratti somatici di un arabo. Piaceva molto alle donne e a dire il vero, qualche volta, per arrotare i coltelli, invece che soffermarsi davanti all’uscio entrava in casa, soffermandosi un più a lungo...

La storia era risaputa. Le chiacchiere erano più veloci e fastidiose dei tafani, specie in estate, quando le finestre e le porte erano tutte spalancate. Per sviare i sospetti dei mariti, quasi in tacito accordo tra ammiratrici, le soste variavano. Un giorno un pò di più in casa di Graziella, un giorno a casa di Bettina e così via…

A mano a mano che prendeva la ripida e rettilinea scesa che alla fine lo portava dritto a casa sua, anche lui rigava più dritto. La cittadina non era tanto piccola e sperava che le chiacchiere sulle sue arrotature prolungate non giungessero alle orecchie di Teresina, la moglie. Sario aveva grandi abilità di arrotino, di amatore e un dono del cielo: un carattere bonario, simpatico. Nonostante la sua fama, aveva molti amici, pure tra gli ignari mariti, abilmente traditi.

Ma Teresina aveva cominciato a maturare qualche sospetto.

Tutto questo era quel che accadeva di giorno.

Dalle nove di sera in poi era tutt’altra storia.

A Sario, come diffuso costume, piacevano il suo lavoro, le donne, il tabacco e il vino. Quest’ultimo, la sera, era la passione dominante.

Il giorno stava sempre in giro e la cena era per lui pausa di rilassamento. Trascinava una seggiola fuori la porta e vi sostava fin a quando Teresina non lo chiamava a raccolta con tutta la ciurma di marmocchi. Beveva un bicchiere dopo l’altro, magari in compagnia di qualche amico di passaggio, da lui invitato a due chiacchiere e un bicchiere. Teresina avvantaggiava i preparativi della cena dal pomeriggio. Aveva capito che questa era una brutta abitudine e per non far bere troppo il marito accelerava. Già euforico, Sario si sedeva a tavola con la sua famigliola. Teresina faceva la spoletta tra tavolo e fornelli per mettergli davanti piatti sempre pieni, ma Sario con altrettanta velocità riempiva un bicchiere dopo l’altro. Le sue parole appestavano del vino, già arrivato in fumi al cervello.

Una brutta e maledetta sera, venne a far loro visita, durante la cena, un lontano parente di Teresina, suo ex spasimante. Sario cominciò ad offrigli vino. All’apparenza molto contento della visita, rivide nella nebbia dell’alcool, la passata richiesta di fidanzamento a Teresina, un paio di settimane prima che lo facesse lui. E dato che Teresina non si decideva a scegliere, forse aveva un debole per Michele, ci pensò lui a convincerla.

Il modo non fu dei più dolci, ma in fondo a Teresina Sario piaceva pure un pò. Il matrimonio fu rapidissimo e riparatore. Teresina pensava sempre più spesso a Michelino, specie quando Sario era ubriaco fradicio e da quando le voci, non malevole ma inopportune, erano giunte alle sue orecchie.

Michelino, incauto guardò negli occhi Teresina, quasi a chiederle come avesse potuto sposare Sario, visti soprattutto i risultati. E non si limitò a guardarla solo negli occhi.

In estate le donne del sud portavano, ai limiti del controsenso della loro estrema riservatezza, dei vestiti molto generosi nell’esibizione delle scollature. E la scollatura di Teresina non era solo generosa, ma quasi prodiga.

Teresina, stupidamente, cercò di accollarsi un pò, anche se l’impresa era molto difficile!

Sariò notò gli sguardi e il gesto di pudicizia. Divenne una belva. Ebbe una reazione che il suo carattere placido non avrebbe mai potuto esibire in nessuna occasione. Con gli occhi avvampati di gelosia, con una mano prese Michele per il colletto della camicia  sollevandolo dalla sedia, con l’altra cercò di coprire il prosperoso seno della moglie. Fare entrambe le cose era difficile. Optò solo per la prima e buttò fuori di casa il malcapitato.

Scoppiò una lite furibonda.

Il giorno dopo Sario, savio e ben impomatato di brillantina, profumato e lindo come al solito, salì sulla sua bicicletta. Più tardi, quando Teresina stese il bucato, i vicini notarono che aveva una guancia tumefatta.

Sario pagò a caro prezzo la cosa.

 

I tafani divennero più veloci sia in salita che in discesa…

 

Furono proprio le amanti turniste a schierasi in difesa di Teresina, temendo forse un giorno di diventare pure loro vittime tumefatte sia dei mariti che dell’amante.

La casa di Teresina divenne quasi un santuario, era un pellegrinaggio insolito…di reciproca consolazione.

Ex voto fatti non già da pacchiani cuori dorati con velluto rosso, ma bensì di insidiosa compassione, maldicenze, ma anche buste di caffè e di zucchero, biscotti e altro.

Teresina diventava sempre più dura nei confronti del marito, sempre più assetato di sesso, dato che le sue ammiratrici gli passavano le forbici e i coltelli da arrotare, dalle finestre e non più dalle porte.

Un giorno, un pomeriggio per la precisione, quando i bambini erano al doposcuola, Teresina era nello stanzone al piano di sopra. L’uscio era sempre aperto. Si sentì cingere la vita. Un bacio appassionato sulla nuca e dolcissime carezze la fecero trasalire di paura e passione.

“Sei impazzito?” disse a Michelino, salito di soppiatto a sua insaputa, spintonandolo. Scese subito al piano di sotto, trascinandolo per mano, nel tentativo di farlo uscire di casa. Teresina, malgrado tutto, era fedele al marito.

Michele fu quasi catapultato fuori. Come uno stupido le disse:

“Tornerò”

Lo mormorò a bassa voce quel ‘tornerò’, ma non tanto bassa da non essere trasportata alla porta accanto.

Un grosso iridescente tafano, uscì da quella porta, percorse tutta la salita, fin alla prima delle abitazioni, dove in precedenza Sario sostava più a lungo.

 

Primo tafano:

“Coosaa? Quella puttana! Ha messo a rischio il mio matrimonio! Ho fatto i salti mortali perché mio marito non si accorgesse di Sario! L’abbiamo difesa, ci siamo messe contro di lui…! Poveretto, poveretto!”

 

Secondo tafano

“Dillo a me! Senza quella visita, anche se mensile, mi sento persa!”

 

 

Regina dei tafani

“Tu? Ed io che devo dire? Io sono vedova, potevo farlo entrare quando volevo, ma era solo per rispetto di quella buon anima, che mi limitavo!”

La regina additò il ritratto del marito.

 

E ronzavano i tafani, diventando sempre più numerosi…

 

I tafani ronzavano, sempre più fastidiosi, fintanto da arrivare alle orecchie di Sario.

Montò sulla bicicletta.

All’apparenza, molto calmo, percorse la discesa salutando tutti come al solito:

“A domani Peppì, a domani Cecè…” e così via. L’ultimo però rispose dicendo:

“Sta calmo, Sarì!”

Fu la fine.

Capì che tutti già sapevano della tresca della moglie.

Teresina, sorpresa dal suo arrivo inaspettato, gli sorrise dolcemente.

Accecato dalla gelosia, travisò, convinto che la dolcezza le fosse stata procurata da qualcun altro qualche ora prima.

L’aggredì, prima verbalmente insultandola in ogni modo, poi alzando le mani con violenza.

La scena avvenne sull’uscio. I vicini erano attoniti.

In genere non si interveniva fin a quando il sangue non colava a fiotti dal naso di una delle vittime, in genere la donna.

Ma non ci fu tempo.

In preda al panico Teresina, che non capiva quella violenza, afferrò uno dei coltelli ben affilati e riposti sulla bicicletta.

Sario l’avrebbe dovuto consegnare a una delle sue amanti, proprio alla vedova che  si sentiva parte lesa e pertanto l’aveva messo sull’avviso, sull’avviso del nulla!

Teresina come un macellaio che sa sgozzare, senza fare soffrire, tagliò di netto la gola al marito.

Sario si accasciò in una pozza di sangue, morendo sul colpo.

 

Cinque anni dopo Teresina uscì di galera.

Furono i mariti delle amanti a difenderla in tribunale e la violenta lite, che l’aveva portata alla legittima difesa, depose a suo grande favore.

 

Quando tornò a casa fu accolta dai vicini come un’eroina.

Quella fu per lei una notte insonne: ora le si poneva il problema di sbarcare il lunario.

Scese al piano di sotto.

La bicicletta di Sario, ben attrezzata era rimasta in casa, ancora in buone condizioni.

Il mattino seguente la donna, portò i bambini a scuola, dopo averli prelevati dalla casa dei suoi genitori.

Tornò a casa sua.

Indossò un paio di pantaloni di Sario e una sua camicia, inforcò la bicicletta avviandosi per la ripida salita.  

Senza arrotare le erre, quasi cantando, pedalava declamando la sua nuova filastrocca:

“Forbici, coltelli, temperini da arrotare? E’ arrivata Teresina, l’arrotina! E ricordate: forbici, coltelli e temperini sono articoli pericolosi per i bambini, è un consiglio di Teresina, l’arrotina!” 

E’ inutile dire che ebbe molti clienti di ambo i sessi, offrendo il suo lavoro, sempre sull’uscio, mai in casa.

Era rimasta fedele al suo Sario.

 

E’ superfluo precisare che quello fu il primo caso di lavoro tipicamente maschile svolto da una donna.

Se è importante saperlo, aggiungo che Teresina non volle  sposarsi mai più, anche se consapevole di esercitare un certo fascino, forse perverso, su molti spasimanti.

Roma 14 agosto2003, ore 14  mercoledì

All'ascolto  del concerto n 21 di W A Mozart

 

 

                                                                     Le Poesie

A Yasmina, Myriam, Aysha, T., M., A., S., P.,……………

 e a tutti i miseri resti irriconoscibili delle innocenti Vittime delle mine antiuomo,

delle bombe intelligenti che nella loro stupidità crudele

non falliscono il bersaglio del dolore all’Umanità

 

                                      Era ieri

 ieri   

ronzavano mosche felici

sfuggite a saltellanti locuste

ieri

si avvicinava il mormorio

leggero dell’acqua placida

nel verde sonnolento del fiume

ieri

Cantava a bassa voce e Incedeva

come giunco flessuoso all’alito

caldo del vento

ieri

a corona Portava un cesto

tempestato di panni colorati

 

Stracci

dissero dopo

 

ieri

Avanzava  e Ritmava la mano

del bimbo su spensierati saltelli

         ieri

a bassa voce Neniava d’infanzia

al bimbo addormentato

nel Suo seno fasciato

ieri

ondeggiavano sinuose le forme

sotto il vestito fatto di teli

Colorati teli

nel verde dell’acqua

nell’azzurro del cielo

nell’arancio del sole

che imperlava il viso

caffè tostato

 

era ieri

Avanzava e in dissolvenza

si perdeva il Suo canto

fra giunchi e papiri stupiti e

d’improvviso tinti da estranea

infelice porpora

 

E da ieri

Lei è ancora là tra

giunchi e papiri stupiti 

con i Suoi bambini sparsi

un pò ovunque

come i panni da lavare ma

irrimediabilmente tinti e

ostinati ad asciugare

le macchie al sole

 

Roma 25 marzo 2003 ore 18, 28 marzo ore 19, 30 marzo ore18:40 a casa

Lirica dolorosa, molto sofferta

 

 

 

Canto della solitudine

 

Anche in quella sera buia

ad una ad una

si riaccesero le Stelle

            

                ma non guardavo il cielo

 

Venne di nuovo sera

 e non il buio

 

Si riaccesero

ad una

ad una

le Stelle

sul mare

              dell’amata solitudine

 

Roma 2 gennaio 2005 ore 21 e 20…

 

 

a zia M.

La lampada

 

Hai detto

“Vieni, accomodiamoci in cucina”

Hai acceso la lampada

e la sua cupola

ha inondato di buio l’ambiente

 

Ha illuminato il tuo mondo

e il tuo tempo fermo

a quando i neri capelli

scendevano sulle tue spalle

come dolci le notti sui sogni

 

Ti ho seguita

come si segue una storia

Nel breve tragitto

tra tavolo e sedie

sulle tue spalle ho letto

come si legge

su un libro lasciato aperto

e dal  semplice linguaggio

 

Ho letto una storia che narra

di fuliggine

di mele ordinate nella dispensa

di frigorifero vuoto

di colorite figure votive

di saluti a passo veloce

nel vicolo vecchio dove

acqua giovane e fresca sgorga

da vecchia fontana

di armadi stipati di abiti e ricordi

ancora avvolti nei morbidi teli

dove trama è il tempo

e ordito il materno sorriso

Unico grande ramo rimasto verde

nell’albero della  tua Vita

 

Maria Luisa Caputo

Roma 29 gennaio 2006, domenica h 19:43, a casa

  

 

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