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La prefazione è curata dalla prof Anna Maria Curci.
la biografia di Maria Luisa dalla Dottssa Barbara De Filippis
"Le Storie di Mizar"
cap I
Wenda
Non dimenticherò mai quel mattino di novembre. Il cielo grigio come il vestito di Wenda. Chiesi a mia madre come mai Wenda sposasse di mattina presto e con un vestito grigio. I miei abitavano allora proprio davanti alla chiesa, e di matrimoni ne avevo visto parecchi. Quando la chiesa spalancava la sua bocca dalle sue fauci uscivano un sagrato gremito di gente, un altare che olezzava di fiori e di ceri. A me sembrava lo stesso odore dei funerali. Cambiava solo il mormorio.
Nei matrimoni erano risa di simpatia, chiacchiere malevole, risate isteriche di donne attempate, ma ancora piacenti e che speravano di raggiungere lo stesso traguardo.
Come per magia, i colori tenui o sgargianti degli abiti degli invitati alle nozze nei funerali cambiavano tonalità. Tutto in nero: abiti neri, neri fazzoletti in testa a donne nere in viso, uomini dai neri soprabiti o con fasce nere al braccio. Cambiava anche il colore del mezzo di trasporto: al funerale il protagonista andava, in orizzontale, in carrozza bardata nero e oro. Al matrimonio i protagonisti si recavano, in verticale, a piedi o con carrozza ornata con veli e drappeggi bianchi: tal quale ai funerali dei bambini!
“Io da grande non mi sposo!” Dissi a mia madre, un giorno. Avevo forse sei anni e quel genere di confusione negli avvenimenti non mi piaceva.
“Sei una bambina, cosa ne vuoi sapere di quello che farai domani! Sei una donna e ti sposerai!”
Questa fu la laconica risposta che a me non parve una risposta.
Ma quel mattino di novembre non ci fu confusione.
Fu tutto così insolito.
Alle sette, era ancora semibuio, Wenda tornava già dalla chiesa sottobraccio al suo sposo. Era tutto insolito: nessuno rideva, nessuno piangeva di contentezza.
Ero dietro ai vetri della cucina, in piedi su una seggiola. Con la tazza del latte caldo in mano. Provai una sensazione strana, mi sembrava che gli eventi si fossero fusi: matrimonio e funerale di Wenda nello stesso giorno!
Sì, proprio così.
Continuai ad osservare la scena. Wenda indossava un completo grigio come il cielo, portava un cappellino a colore dei nembi scuri che avanzavano all’orizzonte di quella nuova giornata di pioggia e della sua vita. Lo sposo era ancora più strano. Wenda era giovane, ma se per me, bambina di otto anni, lei era una donna matura, lo sposo mi sembrava addirittura suo nonno. Non facevo domande. Sapevo che mia madre mi avrebbe fatto venir via dalla finestra. La luce era poca, ma non tanto era il buio da non farmi scorgere gli occhi tristi e bassi di quella donna che fin a qualche mese prima era sempre allegra e sorridente.
Stupidamente chiesi a mia madre come mai Wenda non sorridesse come tutte le altre spose che a me sembravano sciocche, dato che per un non nulla emettevano strane risatine. La domanda ebbe un brutto effetto. Mia madre mi strattonò forte e mi obbligò a scendere dalla seggiola.
“Hai dimenticato che devi andare a scuola?”
Questo innescò un grappolo di domande bomba nella mia ingenua, ma curiosissima età.
Con tono lamentevole e con dieci perché continuai con insistenza a chiedere perché l’abito fosse grigio, perché avesse sposato alle sette di mattina, perché, perché…
Le risposte erano ritardate e non esaurivano la mia curiosità, ma stuzzicavano la mia fantasia. Feci dunque a mia madre questa professione di fede:
“Sai che ti dico! Questo matrimonio è così insolito che forse anch’io mi sposerò così!”
Mia madre non alzava le mani spesso, ma quella mattina ebbe uno scatto d’ira così forte che lo schiocco del ceffone in pieno viso e le mie urla a seguire, fecero accorrere in cucina mio padre. Mi rifugiai dolorante e stupita fra le sue braccia, mentre mia madre ad alta voce mi rimproverava aspramente:
“Non lo dire mai più, o arriverà il resto!”
E sapevo cosa volesse dire, niente giochi e magari un altro ceffone. Impudente e incurante delle successive punizioni, quel giorno risposi ancora:
“Da grande non mi sposerò! L’hai voluto tu!”
“Meglio così”
Ero già disorientata dallo strano matrimonio funerale, ma ancora più mi disorientò la risposta di mia madre!
Sette anni dopo, la chiesa spalancò le sue fauci e ne uscì, in orizzontale, il feretro del marito di Wenda.
Wenda, molto elegante, indossava quel giorno un completo nero dallo stesso modello, anche per il cappello, di quello del suo matrimonio.
Si era, strana coincidenza, in novembre, come quel giorno di tanti anni prima. Ma il sole era alto, il cielo terso e pulito, nessun nembo grigio. Lo sguardo di Wenda era fermo, non guardava più a terra e non mi sembrava neanche triste.
Per qualche mese ancora mi chiesi che cosa si celasse sotto quelle strane cerimonie. Ripensai però a una frase captata, nell’echeggio del mormorio.
“Quel porco l’ha rovinata! Come ha potuto! Era solo una ragazzina! Chi se la prende una vedova giovane, che per altro non era arrivata neanche pura al matrimonio!”
Wenda partì per Torino.
Si seppe in seguito che aveva trovato lavoro in una fabbrica e che stava per sposare un ragazzo sardo, che lavorava con lei.
La prima edizione del romanzo
Le storie di Mizar
alcuni commenti alla Presentazione del 16 dicembre 2006 Roma
...grazie per la musica delle tue parole e per la meravigliosa avventura della traduzione...(A.M. Curci, docente)
...sono davvero lieta di aver conosciuto un'artista sensibile e completa come te e di aver avuto l'onore di leggere le tue parole (Laura Vazzana, scrittrice)
...momenti da non dimenticare, come trovare un'oasi nel deserto...(Teresa Mileti)
...Cara Maria Luisa, ancora una volta come tante volte...(Gianfranco Cotronei, editore)
...la sensibilità e l'intensità delle tue parole hanno risvegliato sentimenti genuini, e mi hanno riportato in un mondo che, pur non conoscendo, ho assaporato con piacere. Complimenti! (Maria Domenica Mangialavori)
...la gentilezza di un animo che tocca le sensibilità dell'anima...( S. Cinelli)
...Carissima Maria Luisa, ho letto tutto d'un fiato il tuo fantastico "STORIE DI MIZAR". Mi ha affascinato il tuo placido raccontare, mi sono sentita catapultata in quel magico passato bambina come te. Complimenti, sei grande in ogni senso... Tutto il gruppo A.L.I.A.S. leggera'con grande interesse questo piccolo capolavoro...
( Giovanna Guzzardi e tutti i tuoi ammiratori da Melbourne ...)
introduzione alle letture
di Anna Maria Curci
Una scrittura musicale
Che la produzione lirica di Maria Luisa Caputo si caratterizzi per una sua spiccata musicalità, non è cosa nuova per noi che leggiamo, ascoltiamo e amiamo le sue poesie. Come ebbe a dire colui che definisco il mio “maestro di letteratura senza confini”, il professor Steno Vazzana, nella sua premessa all’antologia di saggi sulla letteratura italiana Architettonici e musicali, la poesia è per sua natura “emotiva”, dunque più vicina alla dimensione musicale. Il mio maestro soleva dire anche che, se il disegno è ‘architettonico’, il colore è musicale, e della pittura di Maria Luisa, anche e soprattutto nei quadri che seguono la sua affascinante teoria del Riguardantismo, rimaniamo abbagliati soprattutto dall’uso di una tavolozza fantasmagorica. Anche la recente produzione in prosa di Maria Luisa Caputo, Le storie di Mizar, assume tutti i caratteri di scrittura musicale.
Ogni scrittura musicale obbedisce a precise norme di sintassi, ma la musica, per dirla con le parole dei romantici tedeschi, che la consideravano la forma d’arte suprema, è innanzitutto Erlebnis, esperienza vissuta, resa e trasmessa in un indissolubile intreccio di armonia, melodia, ritmo e forma ancor prima che la riflessione, la razionalità intervengano a rompere l’incanto dell’amalgama perfetto, del ricongiungimento degli opposti.
La partitura: assolo e corali
Le storie di Mizar sono concepite come una vera e propria partitura musicale, e indicazioni dettagliate per una corretta esecuzione emergono spesso nel corso della narrazione, con l’intento di mostrare ai lettori, di volta in volta, l’emergere della voce solista in un corale, ovvero per definire intensità e ritmo dell’enunciato. Tuttavia, anche laddove le annotazioni per la partitura non sono esplicite, armonia, melodia, ritmo e forma si percepiscono chiaramente nella loro fusione palpitante di vita.
La melodia: la poesia delle cose, dei luoghi, dei riti
Per proseguire con il Leitmotiv di questa mia breve introduzione, la metafora della scrittura musicale, vorrei soffermarmi sul tessuto melodico. In musica, è la melodia, successione regolata e ritmata di suoni, a costituire un motivo, o meglio, un pensiero musicale dominante. Nella prosa di Maria Luisa la melodia è la poesia delle cose, semplici e rassicuranti, ma anche nuove, straordinarie e con effetto straniante. La melodia è la poesia dei luoghi: il paese, le sue vie, le sue case; il mare dei villeggianti, ma anche il mare dei pescatori, con suoni ed effluvi indimenticabili e profondamente impressi nella memoria di chi rievoca. La melodia è la poesia dei riti, di quelli che si perdono nella notte dei tempi e di quelli continuamente creati dai personaggi originalissimi delle Storie.
La prospettiva
L’amalgama perfetto è dato dalla voce narrante, la voce straordinaria di una persona che, con un procedere che ripercorre i quattro movimenti della sinfonia classica, osserva, rielabora, conserva e rievoca. Si tratta di una prospettiva particolare, incantata e dal fascino soggiogante allo stesso tempo. L’atto dell’osservare, un osservare curioso e acuto, mette in moto un processo di rielaborazione – il nuovo viene messo a confronto con quanto già acquisito e questo, a sua volta, viene necessariamente modificato - ed è funzionale all’atto del serbare ricordi. I ricordi, infine, si vengono a comporre, come le tessere di un mosaico – ecco l’elemento architettonico nel dominio musicale! – in storie, rievocate dall’io narrante.
Il gusto dell’affabulazione
L’io narrante si distingue per un particolare gusto dell’affabulazione, un gusto che cattura lettrici e lettori, ascoltatrici e ascoltatori, un gusto antico, ma sempre vivo.
Anna Maria Curci
Roma 16 dicembre 2006
ISBN 88 901501 5 7 207681
...e....per contattare l'Artista...: Info
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